Tratto da Justowin

La massima:

Il fenomeno dell’emissione di onde elettromagnetiche rientra, per effetto di una interpretazione estensiva, nell’ambito dell’art. 674 c.p.. Detto reato, inoltre, è configurabile solo quando sia stato provato, in modo certo ed oggettivo, il superamento dei limiti di esposizione o dei valori di attenzione previsti dalle norme speciali e sia stata obiettivamente accertata un’effettiva e concreta idoneità delle emissioni ad offendere o molestare le persone, ravvisabile non in astratto ma in concreto. Il mero superamento dei limiti tabellari, non accompagnato dalla prova certa ed oggettiva di un effettivo e concreto pericolo di nocumento per la salute e la tranquillità delle persone, configura solo l’illecito amministrativo previsto dall’art. 15 della legge 22 febbraio 2001, n. 36.

Osservazioni introduttive

Il quesito posto all’attenzione della Suprema Corte consiste nel vagliare se possa rientrare nella sfera dei comportamenti punibili previsti dall’art. 674 c. p. il fenomeno della emissione di onde elettromagnetiche o se piuttosto si tratti di una interpretazione estensiva od analogica (in quanto tale vietata in materia penale) della medesima norma. Con la decisione in esame la Corte, dopo aver operato un’approfondita ricognizione degli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali formatisi in materia di inquinamento elettromagnetico, ha affermato: a) che il fenomeno dell’emissione di onde elettromagnetiche rientra, per effetto di una interpretazione estensiva, nell’ambito dell’art. 674 c.p.; b) che detto reato è configurabile solo quando sia stato provato, in modo certo ed oggettivo, il superamento dei limiti di esposizione o dei valori di attenzione previsti dalle norme speciali e sia stata obiettivamente accertata un’effettiva e concreta idoneità delle emissioni ad offendere o molestare le persone, ravvisabile non in astratto ma in concreto; c) che il mero superamento dei limiti tabellari, non accompagnato dalla prova certa ed oggettiva di un effettivo e concreto pericolo di nocumento per la salute e la tranquillità delle persone, configura solo l’illecito amministrativo previsto dall’art. 15 della legge 22 febbraio 2001, n. 36.

Orbene, come è noto, negli ultimi dieci anni è definitivamente maturata in seno alla comunità scientifica la convinzione che le onde elettromagnetiche, sia ad alta frequenza (ripetitori radiotelevisivi) che a bassa frequenza (elettrodotti), abbiano effetti nocivi sulla salute.

Di tali effetti hanno preso atto alcuni provvedimenti normativi. Il d.p.c.m. 23.4.1992, integrato dal relativo decreto di attuazione d.p.c.m. 28.9.1995, e i due d.p.c.m. dell’8.7.2003. I primi due hanno fissato i limiti massimi di esposizione ai campi elettrico-magnetici generati dalla frequenza industriale nominale negli ambienti abitativi e nell’ambiente esterno e sono ora superati per incompatibilità dai secondi che, ai sensi dell’art. 4, l. 22.2.2001, n. 36, fissano i limiti di esposizione e i valori di attenzione per la prevenzione degli effetti a breve termine e dei possibili effetti a lungo termine nella popolazione dell’esposizione ai campi elettromagnetici generati da sorgenti fisse con frequenza compresa tra 100 kHz e 300 GHz il primo, e di 50 Hz il secondo.

Poiché la produzione normativa in questa materia è priva di copertura sanzionatoria di carattere penale, ha spesso trovato applicazione, a parere della dottrina e della giurisprudenza maggioritaria, l’art. 674 c.p.. Gli effetti dell’esposizione, infatti, sono indubbiamente percepibili ed apprezzabili e come tali possono rientrare nel concetto di molestie. I campi elettromagnetici, d’altra parte, in quanto entità misurabili ed addirittura convogliabili in specifiche direzioni, sono sussumibili nella generica nozione di “cose”. Orbene, a tal uopo ci si è chiesti se tale eventuale inquadramento costituisca il risultato di una mera interpretazione estensiva della disposizione, ovvero se ad esso possa in realtà pervenirsi soltanto mediante una (non consentita in campo penale) applicazione analogica della disposizione stessa ad una diversa fattispecie caratterizzata dalla eadem ratio.

Ebbene, per una parte della dottrina ci si trova al cospetto di una forma di interpretazione adeguatrice ed estensiva, confortata anche dall’art. 624 comma II, che specifica che “agli effetti della legge penale”, “si considera cosa mobile anche l’energia elettrica e ogni energia che abbia un valore economico”.

Altra parte della dottrina e della giurisprudenza, invece, ritiene che l’applicazione dell’art. 674 sia frutto, invece, di una operazione analogica che, se poteva trovare qualche giustificazione in una situazione di totale lacuna normativa, diviene inammissibile a seguito dell’entrata in vigore della nuova disciplina, oltre a comportare il rischio di vanificare l’applicazione delle ben più efficaci sanzioni amministrative.

Resta la problematicità dei casi di livelli di esposizione inferiori ai limiti legali. La questione attiene alla possibilità o meno di addebitare all’agente, che pure abbia rispettato le prescrizioni normative, una responsabilità a titolo di colpa generica, per non aver adottato parametri cautelari ulteriori rispetto a quelli prescritti.

Va dato atto, però, dell’esistenza di un orientamento contrario all’estensione ermeneutica in esame, che parte dalla considerazione che le onde elettromagnetiche non rientrano di per se stesse nella nozione di “cosa” cui si riferisce l’articolo 674. Si osserva, a tal uopo, che gli elementi costitutivi della contravvenzione sono il gettare e il versare nei luoghi specificamente indicati “cose” solide o liquide o il provocare emissioni, nei casi non consentiti, di gas, vapori o fumo. Le espressioni usate per esprimere la prima condotta (gettare o versare) evocano, da un punto di vista linguistico, le sole cose dotate di materialità e quindi sostanze solide o liquide, mentre in relazione alla seconda ipotesi vi è una tassativa specificazione della natura delle sostanze oggetto di emissione, che impedisce di includere in esse, se non per via analogica, anche le onde elettromagnetiche. Si contesta, poi, che la presunta genericità della parola “cosa” comporti la possibilità di ricomprendere nel termine anche le onde elettromagnetiche, perché essa nel linguaggio giuridico penale non è affatto generica ma è ancorata al significato di “cosa materiale”. Del resto, anche a rigor di logica, le onde elettromagnetiche non potrebbero essere “gettate” o “versate” ma si generano, si producono, si emettono, si diffondono o si propagano. La loro naturale collocazione, quindi, dovrebbe semmai essere nell’ambito della seconda ipotesi; ma a tale collocazione potrebbe giungersi esclusivamente mediante un’applicazione analogica di questa seconda ipotesi ad una fattispecie simile ma diversa, e non con la sola interpretazione estensiva, dal momento che nel significato di gas, vapori e fumo non possono sicuramente farsi rientrare anche le onde elettromagnetiche.

Orbene, la sentenza che si commenta tenta di dare una risposta univoca e, soprattutto definitiva, a tutte queste diverse istanze interpretative.

La propedeutica trattazione sulla materia risultava necessaria, dal momento che la pronuncia della Suprema Corte si pone in un contesto giurisprudenziale nel quale i giudici di merito avevano aderito, rispettivamente, alle opposte tesi presentate.

Per un verso, infatti, il Tribunale di primo grado aveva osservato che l’emissione di onde elettromagnetiche poteva farsi rientrare, in via di interpretazione estensiva e non di applicazione analogica, nell’ambito della prima delle due ipotesi previste da 674 c.p., e che, poiché per la sussistenza del reato non era necessario il superamento dei limiti imposti dalle leggi speciali, perché la clausola “nei casi non consentiti dalla legge” si riferisce esclusivamente alla seconda ipotesi di reato di cui all’art. 674, ossia alle sole emissioni di gas, vapori e fumo, nella specie potevano ritenersi sussistenti, oltre all’attitudine a molestare delle onde elettromagnetiche emesse, anche le molestie in concreto arrecate alle persone residenti nelle zone circostanti. Per questa via il Tribunale di primo grado era pervenuto ad una sentenza di condanna.

Per altro verso, invece, la Corte d’Appello aveva sostenuto che la sussunzione della fattispecie di emissione di onde elettromagnetiche nella previsione di cui alla prima parte dell’art. 674 c.p. costituisce, invero, il frutto non già di una semplice interpretazione estensiva, bensì di una vera e propria applicazione analogica della norma penale ad una diversa fattispecie caratterizzata dalla identità di ratio, applicazione che, nel nostro ordinamento, non è consentita in materia penale. Per questi motivi, la Corte di Appello era pervenuta ad una pronuncia di assoluzione perché il fatto non è previsto dalla legge come reato.

Spetta, dunque, agli ermellini, il difficile compito di stabilire se la suddetta interpretazione estensiva sia di per sé possibile (a prescindere dalle conseguenze nel sistema), ossia se possa attribuirsi all’espressione “gettare cose” un significato più ampio di quello che apparentemente da essa risulta, tale da farvi comprendere anche la propagazione di onde elettromagnetiche, ovvero se una siffatta operazione celi, in realtà, il ricorso all’analogia.

Ebbene, a parere della Suprema Corte l’“l’intenzione del legislatore” va intesa come volontà della legge obiettivamente considerata. In base a questo assunto, secondo la Cassazione, “l’apertura culturale mostrata dal codice Rocco nel dilatare la nozione di cosa rilevante per il diritto penale autorizza ad attribuire all’art. 674 una dimensione più ampia di quella originariamente conferitagli e conforme ad una visione della legge in armonia con il marcato dinamismo dello Stato moderno”. E, poiché “fra le “cose” di cui parla la norma incriminatrice debbono farsi rientrare anche i campi elettromagnetici, considerati da A. Einstein reali come una sedia, e poiché il verbo “gettare” ha un significato amplissimo e non indica solo l’azione di chi lancia qualcosa, ma è anche sinonimo di “mandar fuori, emettere” e, per estensione, come già in Dante Alighieri, di produrre, far nascere”, ne consegue che la norma è suscettibile di interpretazione estensiva, motivo per il quale l’art. 674 ben può applicarsi alla fattispecie concreta di inquinamento elletromagnetico.

Dopo aver ripercorso le conclusioni della giurisprudenza sul tema, dunque, la Suprema Corte afferma che il fenomeno dell’emissione di onde elettromagnetiche rientra, per effetto di un’interpretazione estensiva, nell’ambito dell’articolo 674 c.p., reato configurabile allorché sia stato provato, in modo certo ed oggettivo, il superamento dei limiti di esposizione o dei valori di attenzione previsti dalle norme speciali e sia stata obiettivamente accertata un’effettiva e concreta idoneità delle emissioni ad offendere o molestare le persone esposte, ravvisabile non in astratto, per il solo superamento dei limiti, ma soltanto a seguito di un accertamento (da compiersi in concreto) di un effettivo pericolo oggettivo, e non meramente soggettivo.

La Cassazione, sostanzialmente, conferma la tesi sposata dal giudice di prime cure, optando per un’interpretazione estensiva della norma in contestazione svincolata dal dato storico e facente leva sulla volontà oggettiva ed attuale del legislatore ricavabile da tutto l’ordinamento. Gli ermellini, inoltre, precisano che “il mero superamento dei limiti tabellari, non accompagnato dalla prova certa ed oggettiva di un effettivo e concreto pericolo di nocumento per la salute e la tranquillità delle persone, configura solo l’illecito amministrativo previsto dall’art. 15 della legge 22 febbraio 2001, n. 36”. Se così è, poiché l’emissione di onde elettromagnetiche è oggetto di una specifica disciplina che fissa limiti rigorosi, anch’essa, al pari di altre attività regolamentate, essa può integrare il reato in questione soltanto quando sono superati i limiti tabellari, in modo tale da non dar luogo ad un sistema manifestamente irrazionale.

In conclusione, per la Corte deve ritenersi che, anche nel caso di emissione di onde elettromagnetiche, il presupposto necessario perché sia eventualmente integrato il reato di cui all’articolo 674 c.p. è comunque quello del superamento dei limiti previsti dalle specifiche norme di settore, mentre deve invece escludersi ogni illiceità qualora le immissioni si siano mantenute nei limiti fissati dalla normativa vigente, nel qual caso esse sono assistite da una presunzione di legittimità e di non pericolosità. Per l’eventuale integrazione della contravvenzione di cui all’art. 674 c.p., è dunque in ogni caso necessario che sia oggettivamente provato, con le dovute modalità, il superamento dei suddetti limiti di esposizione o dei valori di attenzione.

Osservazioni conclusive

La sentenza in questione si pone in scia con quanto affermato da Cass. pen., Sez. I, 12 marzo 2002, n. 15717 secondo la quale il superamento dei limiti indicati dalla normativa speciale in tema di onde elettromagnetiche può configurare il reato di cui all’art. 674 cod. pen. qualora risulti concretamente accertato che detta emissione “possa cagionare nocumento o turbamento alla salute della popolazione esposta ai suoi effetti”. In particolare, questa decisione, dopo aver richiamato la precedente giurisprudenza penale sulla smaterializzazione del concetto di “cosa” e quella civile sulla possibilità che le onde elettromagnetiche siano oggetto di possesso, ritiene che non sembrano esservi ostacoli per applicare l’art. 674 alla emissione di un campo elettromagnetico nocivo per la salute della popolazione esposta); nonché da Cass. pen., Sez. I, 14 marzo 2002, n. 23066 secondo la quale è configurabile il reato previsto dall’art. 674 cod. pen. nelle emissioni di onde elettromagnetiche generate da ripetitori radiotelevisivi, purché siano superati i valori indicativi dell’intensità di campo fissati dalla normativa specifica vigente in materia.

LA SENTENZA

CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III PENALE – SENTENZA 11 maggio 2010, n.17967 – Pres. Lupo – est. Petti

IN FATTO

Il tribunale del riesame di Napoli, con ordinanza del 9 ottobre del 2009, respingeva la richiesta di riesame avanzata nell’interesse della società N. S., con cui si era impugnato il provvedimento di sequestro preventivo di un impianto di telefonia mobile collocato in Napoli alla via Manzoni n 116. Il sequestro era stato disposto per l’ipotizzato reato di cui all’articolo 674 c.p., in quanto in base alla relazione del CRIA del 20 marzo del 2009 si era riscontrato che i valori di emissione delle onde elettromagnetiche erano risultati superiori alla norma e che le condizioni di salute di due condomini si erano aggravate a seguito dell’installazione dell’impianto. In precedenza le azioni svolte dal condominio per la rimozione dell’impianto erano state respinte, prima dall’autorità giudiziaria amministrativa e poi da quella ordinaria civile. L’elemento nuovo che aveva indotto il giudice penale al sequestro era costituito dall’aggravamento delle condizioni di salute di due condomini e dalla relazione del CRIA alla quale prima si è fatto riferimento.

Ricorre per cassazione la società deducendo:

– violazione di legge per l’insussistenza del reato ipotizzato e per l’assoluta mancanza di motivazione sul punto: sostiene che il giudice del riesame non aveva esaminato la documentazione prodotta dalla difesa e segnatamente la consulenza disposta in sede civile dalla quale risultava che i valori limite non erano stati superati alla data dell’8 giugno del 2008;

– la violazione dell’articolo 321 c.p.p per la mancanza dei presupposti per l’adozione del sequestro, in quanto la verifica posta a base del sequestro era stata sommaria e comunque era stata superata dalla relazione dell’ 11 giugno del 2009 depositata il 17 giugno del 2009;

– la violazione dell’articolo 674 c.p.p. per l’insussistenza del reato per il mancato superamento dei limiti.

IN DIRITTO

Il ricorso va accolto.

Secondo l’orientamento di questa sezione (Cass. n. 15707 del 2009), in tema d’inquinamento elettromagnetico, il reato non è configurabile neppure astrattamente in base al mero superamento, da provare oggettivamente, dei limiti d’esposizione o dei valori d’attenzione previsti dalle norme speciali (D.M. Ambiente 10 settembre 1998, n. 381; d.P.C.M. 8 luglio 2003), occorrendo anche l’idoneita’ delle onde elettromagnetiche ad offendere o molestare persone. (Conf. Sez. III,15708, 15709, 15710, 15711, 15712, 15713, 15714, 15715, 15716 del 2009).

Nella fattispecie il tribunale, pur dando atto che i dati probatori erano estremamente equivoci, ha ritenuto ugualmente configurabile il fumus delicti riservando sostanzialmente al giudice del merito approfondimenti probatori. Invece la stessa equivocità dei dati probatori, essendo relativa proprio ad un elemento costitutivo del reato, ossia al superamento dei limiti tabellarmente previsti, poteva incidere sulla stessa astratta configurabilità del reato. Il sequestro preventivo, a differenza di quello probatorio che, avendo uno scopo istruttorio, può essere disposto anche quando gli elementi costitutivi del reato sono incerti (anzi spesso serve proprio a chiarire tale incertezza), avendo una funzione cautelare, presuppone che un reato sia seriamente prospettabile ed impone al giudice di non appiattirsi sulla formulazione dell’accusa predisposta dal pubblico ministero, ma di verificare se quell’ipotesi accusatoria sia configurabile in base alle risultanze processuali.

Nella fattispecie, con riferimento ai valori tabellari, il sequestro è stato disposto in base ad un accertamento, espletato al di fuori del contraddittorio delle parti, che è stato superato da altro accertamento successivo disposto nel contraddittorio delle parti nonché dall’accertamento compiuto in sede civile. Il tribunale non ha indicato la ragione per la quale dovesse darsi la preferenza all’unico accertamento favorevole al condominio, rispetto a tutti gli altri, anche successivi, favorevoli all’indagato, accertamenti questi ultimi idonei ad escludere la stessa configurabilità del reato. Nel dubbio, anche ai fini della valutazione della persistenza delle esigenze cautelari, si deve privilegiare il rilevamento più recente rispetto a quello più remoto.

Alla stregua delle considerazioni svolte, il provvedimento impugnato va annullato con rinvio per un nuovo esame. Il giudice del rinvio dovrà tenere conto dei principi dianzi esposti sulla configurabilità del reato e sulla necessità di privilegiare nel dubbio i rilevamenti più garantiti e recenti.

P.Q.M.

LA CORTE

Letto l’articolo 623 c.p.p. annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al tribunale

di Napoli

di SERAFINO RUSCICA


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