Tratto da Il Sole 24 Ore

Dopo che l’Oms, per mano del l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc), ha ufficialmente annunciato che le radiazioni dei cellulari hanno, seppur a un livello basso, un rischio di cancerogenicità, gli utenti dei telefonini hanno tutto il diritto di essere confusi. Solo un anno fa, la stessa Agenzia aveva pubblicato i risultati del progetto di ricerca Interphone, studio decennale su 13mila persone di 13 Paesi diversi, dal quale non era emersa alcuna correlazione tra uso del cellulare e cancro al cervello. Ora invece la possibilità esiste, e i cellulari entrano nella categoria 2b, quella che comprende anche pesticidi e piombo, non solo sottaceti e caffè. Sono però le considerazioni di Jonathan Samet, a capo della Iarc, che fanno “alzare le antenne”: «La nostra classificazione implica che ci può essere qualche rischio, dobbiamo continuare a monitorare con attenzione… nel frattempo è importante prendere misure pragmatiche per ridurre l’esposizione, come l’uso di auricolari o il preferire i messaggi di testo alle telefonate».

La domanda allora è: un giudizio come quello espresso dalla Iarc, che ha un peso sulle politiche di regolamentazione in molte nazioni, porterà a modifiche in termini di utilizzo e produzione dei telefonini? Susanna Lagorio, dell’Iss e responsabile scientifico per l’Italia dello studio Interphone, precisa: «Le monografie della Iarc di per sé non comportano da parte di nessun ente nazionale o internazionale una modificazione o l’introduzione di particolari misure di gestione, di regolamentazione sull’esposizione o nella fase di produzione dei dispositivi. In più, la classificazione 2b, non comporta l’etichettatura di sostanza pericolosa, perché si tratta del livello più debole: il rischio è possibile, ma non è quantificato. Mi aspetto che nell’arco di un paio d’anni verrà realizzata una monografia sulle radiofrequenze, che consiste nell’ulteriore revisione della letteratura scientifica non limitata agli studi di cancerogenicità, ma su tutti gli aspetti della salute che si concludono con una valutazione di rischio attribuibile alla popolazione e di regolamentazione all’esposizione».

Non è altrettanto ottimista Angelo Levis, ex ordinario di Mutagenesi ambientale all’Università di Padova ed ex commissario Iarc: «Il risultato emerso è modesto e rinvia la decisione fino a far partire un altro studio finanziato dalla Ue, coi gestori che hanno già anticipato durerà almeno 20 anni e che si chiama Cosmos. Sono convinto si tratti di una soluzione di comodo, e scaricare la responsabilità sugli utenti, i quali o hanno capito che i rischi ci sono e adottano misure di autotutela, o le ignorano come fanno i fumatori. Lo dico sulla base di un’esperienza analoga a questa: nel 2001 la Iarc ha classificato come possibili cancerogeni le frequenze di campi elettromagnetici estremamente basse, cioè quelle emesse da elettrodotti ed elettrodomestici e lo ha fatto sulla base di dati che mettevano in evidenza un raddoppio dell’incidenza di leucemia infantile al di sopra di un valore di 0,3-0,4 microtesla. Sono passati 11 anni e non è cambiato niente: l’Oms e i governi continuano a sostenere che l’unico limite valido è 100 microtesla».

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L’Fda statunitense. In seguito agli ultimi dati della Iarc, l’agenzia di controllo sul settore farmaceutico Usa ha affermato che riesaminerà la relativa monografia con attenzione, ma che «il peso delle prove scientifiche esistenti non mostra un’associazione tra esposizione alle radiofrequenze e danni alla salute». Organizzazione mondiale della Sanità. Ha un sito dedicato ai campi elettromagnetici (http://www.who.it/peh-emf/en. La prossima monografia sulle radiofrequenze consiste nell’ulteriore revisione della letteratura scientifica non limitata agli studi di cancerogenicità, ma su tutti gli aspetti della salute che si concluderanno anche con la valutazione di rischio attribuibile alla popolazione. Produttori di telefonini. L’industria della telefonia mobile, probabilmente per scongiurare risarcimenti, nelle istruzioni per l’uso già suggerisce di tenere i cellulari almeno a 2 centimetri di distanza dal corpo (e non solo dalla testa) durante la chiamata, dal ventre delle donne in gravidanza e dall’area genitale di bambini e adolescenti.

di FRANCESCA CERATI


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