Tratto da www.lexambiente.it

di Vitulia Ivone

Sommario: 1.Danni da elettromagnetismo e tutela della salute umana.– 2. L’installazione di antenne di telefonia cellulare: lo stato attuale del dibattito. – 3. 3. Il caso: la sentenza della Corte di Appello di Brescia del 2009.

 

1.Danni da elettromagnetismo e tutela della salute umana: fonti comunitarie e internazionali.

La necessità di assicurare il benessere e il progresso della comunità civile deve coniugarsi, nel tempo presente, con una corretta gestione dell’ambiente. In quanto oggetto di interventi comunitari ed internazionali, la protezione dell’ambiente è apparsa come vero e proprio limite per la garanzia di un armonico sviluppo economico.

L’intreccio tra tali concetti rinviene nel fondamentale principio di precauzione il suo naturale e fisiologico punto di fusione: il principio che “chi inquina, paga” e il principio della possibilità di una protezione giuridica comunitaria rigorosa sono ormai parte del sistema ordina mentale nel suo complesso e sono materia applicativa per i giudici. Il fine cui si deve tendere è quello di fornire indicazioni circa le decisioni da prendere nei casi in cui gli effetti sull’ambiente di una determinata attività non siano ancora pienamente conosciuti sul piano scientifico.

Il principio di precauzione non deve essere confuso con il principio costituzionale di tutela della salute, contenuto nell’art.32 Cost.: mentre il diritto alla salute assume carattere precettivo, capace di produrre diritti soggettivi insuperabili, il principio di precauzione rappresenta, di contro, un principio di carattere generale, rivolto al legislatore.

Il tema dell’elettromagnetismo e della pericolosità dei relativi fattori inquinanti ha evidenziato una costante incertezza scientifica rispetto alla quale l’ordinamento giuridico è intervenuto ex post e talvolta anche a notevole distanza dall’evento.

Da qualche anno è diventata pressante la richiesta di conoscere i potenziali rischi connessi all’uso della telefonia cellulare che ha avuto una espansione planetaria: ciò implica la necessità di studi costanti e di cooperazione nell’analisi dei rischi e delle conseguenze sulla salute umana. L’elettromagnetismo è una delle proprietà fondamentali della materia1: esso riguarda i campi elettrici che sono le forze generate da cariche elettriche libere di tipo “fisso” (ad esempio, un atomo ionizzato, ossia privato o addizionato di un elettrone) o di tipo “mobile” (ci si riferisce alle correnti, ossia i flussi di cariche elettriche derivanti dall’applicazione di una differenza di tensione presente agli estremi di un conduttore metallico) su un’altra carica circostante2. Questo tipo – ovvero quella mobile – genera oltre al campo elettrico, anche un campo magnetico, definito come l’azione delle cariche mobili sulle correnti circostanti. Il campo elettromagnetico deriva dal legame tra il campo elettrico e quello magnetico le cui rispettive sorgenti hanno valore variabile nel tempo: conseguenzialmente, le onde elettromagnetiche sono definibili campi elettrici e magnetici oscillanti. Esse consistono di piccolissimi pacchetti di energia chiamati fotoni, caratterizzate da una lunghezza d’onda, dalla frequenza e dall’energia. L’energia è direttamente proporzionale alla frequenza d’onda. Se si parla di bassa frequenza, siamo nell’ambito dei campi elettromagnetici, mentre se si parla di alta frequenza si è in presenza di radiazioni elettromagnetiche. Queste si distinguono in “ionizzanti” e “non ionizzanti”. L’importanza di tale partizione attiene sia al profilo fisico-biologico, sia alla specifica disciplina giuridica. Le prime sono onde elettromagnetiche che possiedono energia fotonica sufficiente a rompere i legami atomici che tengono unite le molecole, creando atomi o parti di molecole carichi positivamente o negativamente. Alla classe delle radiazioni non ionizzanti appartiene tutta quella parte di spettro comprendente le onde elettromagnetiche che hanno un’energia troppo bassa per rompere i legami atomici3. Negli ultimi trent’anni sono fioriti gli studi intorno alla possibilità che l’esposizione ai campi magnetici, che hanno una capacità di penetrazione nei tessuti biologici, risulti in danno alla salute. L’aumento senza precedenti, per numero e varietà, di sorgenti di campi elettrici e magnetici (CEM) usati per scopi individuali, industriali e commerciali ha generato preoccupazioni per i possibili rischi per la salute connessi al loro uso. Alcuni studi scientifici hanno suggerito che l’esposizione ai campi elettromagnetici generati da questi dispositivi possa avere effetti nocivi per la salute (cancro, riduzione della fertilità, perdita di memoria e cambiamenti negativi nel comportamento e nello sviluppo dei bambini.) Altri studi contraddicono questa ipotesi. Allo stato attuale, l’effettiva entità del rischio sanitario non è nota, sebbene per alcuni tipi di CEM, ai livelli riscontrati nella vita comune, questo possa essere bassissimo se non addirittura inesistente. In risposta alle preoccupazioni dell’opinione pubblica, condivise da molti governi, l’Oms e altre organizzazioni hanno avviato numerosi progetti di ricerca per valutare gli effetti biologici e stabilire i possibili rischi per la salute. Inoltre, una attenzione particolare viene dalla Oms anche alla percezione del rischio da parte del pubblico. Un sistema di informazione pubblica e di comunicazione tra scienziati, governi, industria e pubblico che non prenda nella giusta considerazione questa percezione, può infatti generare sfiducia e paura nei confronti delle tecnologie basate sui CEM. affermazione esplicita della salute come diritto fondamentale e inviolabile dell’individuo si rinviene nella premessa dell’atto costitutivo dell’OMS, stipulato a New York il 22.7.1946 e reso esecutivo con d.lgs. C.p.S. 4.3.1947 n. 1068, nel quale la salute viene concepita come un completo benessere finanche sociale, quasi una condizione di piena felicità, cosa che rende assai difficile il recepimento nel nostro ordinamento, concentrato com’è su una nozione di salute molto più vicina al concetto latino di valitudo. Il diritto alla salute viene, poi, preso in considerazione, sia pure non direttamente, dagli artt. 3, 5 e 254 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, dagli artt. 6 e 75 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, dall’art. 246 della Convenzione sui diritti del fanciullo, e dal § 1.37 della Dichiarazione sulla promozione dei diritti dei pazienti in Europa. Queste norme, nel sancire la natura fondamentale e insopprimibile del diritto alla salute, hanno obbligato gli Stati aderenti alle rispettive convenzioni ad attivarsi per la tutela e la salvaguardia del suddetto diritto, ma non hanno creato diritti suscettibili di essere azionati nei rapporti tra privati. Si è tuttavia osservato che, avendo le norme di diritto internazionale attributive o ricognitive di diritti fondamentali dell’individuo valore di ius cogens per gli Stati, ai sensi degli artt. 53 e 64 della Convenzione di Vienna del 23.5.1969 sul diritto dei trattati, lo Stato Italiano sarebbe obbligato a tutelare in ogni forma il diritto alla salute anche nei confronti del singolo individuo, per effetto degli atti pattizi sopra menzionati8. In ambito europeo, invece, il nostro Paese aderisce a due ordinamenti che, a vario titolo, si sono occupati, con i propri atti, della tutela, anche risarcitoria, del diritto alla salute: l’Unione Europea ed il Consiglio d’Europa. Si tratta, nel primo caso, di un ordinamento sovranazionale che, in determinate materie, assorbe le competenze nazionali, emanando norme giuridiche obbligatorie sia per gli Stati sia per gli individui, e, nel secondo, di un soggetto di diritto internazionale che riunisce ma non assorbe le competenze nazionali. Tra i due esiste oggi un punto di saldatura dato dall’art. 6, comma 2 del Trattato sull’Unione Europea, così come modificato dal Trattato di Maastricht, il quale stabilisce che “l’Unione rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, in quanto principi generali del diritto comunitario. Tuttavia, la Corte di Giustizia delle Comunità Europee ebbe modo di precisare che i diritti fondamentali riconosciuti dalla CEDU fanno, sì, parte integrante dei principi generali del diritto comunitario di cui il giudice comunitario assicura il rispetto, ma tali principi rilevano esclusivamente rispetto a fattispecie alle quali tale diritto sia applicabile, dunque in caso di violazione da parte di atti comunitari, atti nazionali attuativi di normative comunitarie oppure deroghe nazionali a norme comunitarie, tant’è che negò la propria competenza a conoscere della violazione di diritti riconosciuti dalla CEDU con riferimento a normative che non entrano nel campo di applicazione del diritto comunitario9.

Sotto il profilo dell’Unione Europea, i testi fondanti il diritto comunitario sono rappresentati dal Trattato di Roma del 1957, dal Trattato di Maastricht del 1992, dal Trattato di Amsterdam del 1998, e in ognuno di questi il diritto alla salute trova ampio spazio. In particolare, nel Trattato di Roma, agli artt. 310 e 15211.

Tuttavia, sebbene la necessità della tutela del diritto alla salute sia solennemente affermata nel Trattato istitutivo dell’Unione Europea, e rafforzata dall’espresso rinvio ai principi della CEDU, quali principi fondamentali dell’Unione, nei fatti siamo ancora lungi dal potere affermare l’esistenza di un diritto europeo del danno alla persona. Le singole legislazioni nazionali, in tema di risarcimento della lesione della salute causata da un altrui atto illecito, restano infatti assai distanti, ed accomunate soltanto dall’unanime sconforto della dottrina per l’imprevedibilità e la disparità delle decisioni. Le ragioni di questo stato di cose risiedono anche e soprattutto nei limiti strutturali dell’Unione, il cui intervento normativo è retto dal principio di sussidiarietà, di cui all’art. 5 del Trattato di Roma, che costringe l’opera della Comunità entro i limiti delle competenze conferitegli e degli obiettivi assegnategli dal Trattato12.

Sotto il profilo, invece, del Consiglio d’Europa, l’intervento maggiormente significativo è rappresentato dalla messa a punto di un sistema generale di protezione dei diritti fondamentali dell’individuo, ovvero la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4.11.1950, ratificata e resa esecutiva, unitamente al Protocollo addizionale firmato a Parigi il 20.3.1952, con la L. 4.8.1955, n. 848. A prescindere dalle questioni circa la vincolatività o meno per il legislatore ordinario delle norme contenute e la disapplicabilità o meno delle norme interne contrastanti, la Convenzione, in genere indicata come CEDU, sebbene non dedichi alcuna norma espressa al diritto alla salute ed al suo risarcimento in caso di lesione, mostra chiaramente di concepire quello alla pienezza della salute come uno dei diritti fondamentali dell’individuo. L’osservanza dei diritti riconosciuti dalla Convenzione è assicurata dalla possibilità di ricorrere all’apposita Corte europea dei diritti dell’uomo, istituita dagli artt. 38 e seguenti della stessa Convenzione, anche da ogni persona fisica, ogni organizzazione non governativa o gruppo di privati che alleghi essere stato vittima di una violazione da parte di uno degli Stati membri, dei diritti riconosciuti nella Convenzione o nei suoi protocolli13. In caso di accertamento di un’effettiva violazione, se il diritto interno non permette che in modo incompleto di ripararne le conseguenze, la Corte può accordare un’equa soddisfazione alla parte lesa14. Tra gli atti del Consiglio che si occupano in modo generale del diritto alla salute, considerazione particolare merita la Carta sociale Europea, adottata a Torino il 18.10.1961, ratificata e resa esecutiva con L. 3.7.1965 n. 929, e successivamente emendata e rivista prima con Protocollo fatto a Torino il 21.10.1991, a sua volta ratificato e reso esecutivo con L. 14.12.1994 n. 705, e poi con l’accordo siglato a Strasburgo il 3.5.1996, ratificato e reso esecutivo con L. 9.2.1999, n.30. La Carta costituisce un insieme di norme prevalentemente dettate a tutela e salvaguardia dei diritti fondamentali dei lavoratori e, tuttavia, stabilisce espressamente al punto 11 del Preambolo che “ogni persona ha diritto di usufruire di tutte le misure che le consentano di godere del miglior stato di salute ottenibile”. Da notare che la norma non parla di lavoratori, ma riconosce il diritto a godere del miglior stato di salute possibile ad “ogni persona”: indice certo della natura generalissima e prioritaria del diritto alla salute. Inoltre, v’è da ricordare che anche la Carta sociale prevede una qualche forma di giustiziabilità dei diritti in essa riconosciuti. Il Protocollo addizionale fatto a Strasburgo il 9.11.1995, ratificato e reso esecutivo con L. 28.8.1997, n. 298, prevede, infatti, un sistema di reclami collettivi, proponibili dalle organizzazioni di lavoratori o di datori di lavoro, che soddisfino determinati requisiti), qualora sia lamentata una “attuazione insoddisfacente della Carta”15. In caso di accertamento di tale insoddisfacente attuazione, il Consiglio dei Ministri del Consiglio d’Europa può adottare una raccomandazione, destinata alla parte contraente chiamata in causa16.

 

 

2.L’installazione di antenne di telefonia cellulare: lo stato attuale del dibattito.

La telefonia senza fili (wireless) si basa su un’ampia rete di antenne fisse, di stazioni radio base, che si scambiano informazioni mediante segnali a radiofrequenza.

Dal momento che sono state espresse, nel corso degli anni, preoccupazioni serie riguardo alle possibili conseguenze sulla salute dell’esposizione a questi campi a radiofrequenza prodotti dalle tecnologie wireless, i sospetti di ipersensibilità da parte del grande pubblico hanno preso di mira proprio i piccoli apparecchi che hanno invaso la nostra vita quotidiana, determinando così una vivacissima produzione scientifico-dottrinale sull’argomento: soltanto negli ultimi anni sono state pubblicate decine e decine di articoli di studi originali sull’uso del telefono mobile e il cancro. Quasi tutti sono studi di tipo caso-controllo, prevalentemente su tumori cerebrali e su neurinomi del nervo acustico.

Uno degli studi più significativi è certamente quello denominato Interphone: si tratta di una ricerca multinazionale di tipo caso-controllo coordinata dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) su base di popolazione con un accertamento prospettico dei casi incidenti e un’intervista personale per la valutazione dell’esposizione.

Realizzato nel periodo 2000-2004 in 13 nazioni, tra cui l’Italia, distribuite in 4 continenti, non è solo uno degli studi più vasti sulla relazione tra uso del cellulare e rischio di tumori cerebrali, ma anche l’indagine che ha dedicato sforzi senza precedenti alla verifica dell’affidabilità delle proprie osservazioni. Sono state analizzate le storie d’uso del cellulare (raccolte tramite intervista) di oltre 10700 persone tra i 30 e i 59 anni d’età, e di queste, 2708 erano pazienti con glioma, 2409 pazienti con meningioma e 5634 soggetti di controllo non affetti da tumore. A tutti i partecipanti è stato chiesto di indicare quando avevano iniziato a usare il telefono cellulare, il numero di telefonate effettuate e il tempo medio quotidiano trascorso al telefonino.

Tra gli utilizzatori regolari di telefoni cellulari, lo studio non ha riscontrato alcun aumento di rischio di gliomi o meningiomi cerebrali, e anzi, verosimilmente a causa di un artefatto metodologico e non di un reale effetto dell’uso del telefono cellulare, queste persone presentavano un’apparente diminuzione del rischio: non è stato riscontrato nessun aumento del rischio di tumore cerebrale neppure tra coloro che usavano il telefonino da dieci anni o più.

Per quanto riguarda il rischio associato a livelli crescenti d’uso del cellulare, è stato osservato un apparente incremento del rischio di glioma (e in misura minore di meningioma) tra gli utilizzatori classificati nel decile più elevato di ore cumulative d’uso: in questa categoria, però, livelli d’uso inverosimili (5 o addirittura 12 ore al giorno) sono stati riferiti più frequentemente da casi che non da controlli.

Al contrario, non si è osservato alcun incremento del rischio di glioma o meningioma in nessuno dei nove decili inferiori di ore cumulative d’uso, e non è stata riscontrata alcuna relazione tra rischio e numero cumulativo di chiamate effettuate né per il glioma né per il meningioma. Questi dati suggeriscono che l’apparente aumento di rischio nella fascia di persone con i valori più elevati di ore cumulative d’uso non può essere interpretato come evidenza del fatto che i telefoni cellulari causano tumori.

Nel complesso, dunque, questa ricerca non ha evidenziato incrementi del rischio di tumore cerebrale attribuibili all’uso del telefono cellulare. Si tratta di un’osservazione coerente con i risultati di numerosi studi di laboratorio che non hanno documentato effetti cancerogeni o genotossici in animali o in sistemi cellulari esposti ai campi elettromagnetici a radiofrequenza usati nella telefonia cellulare, né hanno individuato i meccanismi attraverso cui le radiofrequenze potrebbero provocare il cancro.

Il quadro d’insieme, a quanto emerso da questo studio e dalla letteratura scientifica preesistente, non ha suggerito una relazione causale tra uso del telefono cellulare e tumori cerebrali.

L’ICNIRP, dal canto suo, ha commentato i risultati di questo studio approfondito con una nota ufficiale, pubblicata a Monaco il 18 maggio del 2010, che, oltre a prendere atto della significativa assenza di ogni possibile aumento di rischio per quasi tutte le categorie di soggetti, si sofferma sulla più alta delle 10 categorie di ore cumulative riportate di uso del cellulare. Per questa categoria, infatti, si riporta nello studio un apparente aumento del rischio ma, osserva l’ICNIRP, la circostanza che in questa categoria erano state collocate persone per le quali era altamente improbabile un uso prolungato del cellulare dimostra la presenza di un errore relativo ai dati considerati.

Inoltre, è sempre l’ICNIRP a denunciare la limitatezza metodologica di questi studi, in quanto basati su ricordi e testimonianze dei partecipanti riguardo le loro abitudini di utilizzo del cellulare, e a convenire con gli stessi autori dello studio Interphone che le tendenze e gli errori nello studio impediscono di stabilire un certo grado di causalità tra esposizione e insorgenza tumorale. Di conseguenza, non ha ritenuto di dover alterare le linee guida attualmente vigenti.

Anzi, nel novembre 2010, la stessa Commissione ha deciso di rendere note ulteriori linee guida, destinate alla protezione di soggetti esposti a campi elettrici e magnetici specificamente nell’intervallo spettrale delle basse frequenze, che, ai fini della pubblicazione, si intendono comprese tra 1 Hz e 100 kHz. Con riferimento alla questione dell’induzione di tumori, questo documento si limita a precisare, in linea con l’affermato e generico scopo di protezione contro tutti gli effetti nocivi “accertati”, che “le associazioni inizialmente osservate tra campi elettromagnetici a 50-60 Hz e vari tipi di cancro non sono state confermate in studi progettati appositamente per vedere se i risultati iniziali potevano essere replicati” e che però possa esistere una sia pur debole associazione tra i livelli più alti di esposizione a campi magnetici a 50-60 Hz in ambiente residenziale e il rischio di leucemia infantile, anche se, è chiarito nel successivo Promemoria su queste linee, le attuali evidenze scientifiche sono troppo deboli per affermare con certezza questa sia pure potenziale conclusione.

Nel maggio 2011, l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC), organismo di consulenza specializzato dell’OMS, riunita a Lione in un Gruppo di lavoro formato da 31 scienziati di 14 paesi appositamente per discutere la possibilità che queste esposizioni producano effetti sulla salute umana a lungo termine, ha modificato la classificazione dei campi elettromagnetici a radiofrequenza, innalzandoli dal gruppo 3, in cui sono catalogati agenti non classificabili come cancerogeni, al gruppo 2B, tra fattori, il cui abuso li rende “possibilmente cancerogeni” per l’uomo , sulla base di un aumentato rischio di glioma, un tipo di cancro maligno del cervello, associato con l’uso del telefono senza fili.

Il Gruppo, in realtà, non ha quantificato il rischio: tuttavia, uno studio sull’utilizzo passato del telefono cellulare, ha mostrato un 40% di aumento del rischio di gliomi nella categoria più elevata di consumatori pesanti. Il dr. Jonathan Samet, presidente generale di tale Gruppo, ha indicato che le prove accumulate sono forti abbastanza per sostenere la conclusione di un rischio potenziale e la classificazione in 2B.

Inoltre, “date le potenziali conseguenze per la salute pubblica di questa classificazione e dei risultati,” ha detto il Direttore IARC Christopher Wild, “è importante che sia condotta una ricerca supplementare sull’uso massiccio del cellulare sul lungo periodo. In attesa della disponibilità di tali informazioni, è importante adottare misure pragmatiche per ridurre l’esposizione, come i dispositivi viva voce o sms”. Oltre al sospettoso allarme da parte delle case produttrici di telefonini, molte sono state le critiche a questa conclusione dell’IARC: in primo luogo, per il discostamento dalle precedenti opinioni dell’ICNIRP prese di norma a modello e, in secondo luogo, per le denunce di contraddizioni evidenti di cui la classificazione sarebbe stata vittima.

V’è da segnalare che, immediatamente dopo, anche il Consiglio d’Europa aveva espresso preoccupazione per l’eccessiva esposizione ai campi elettromagnetici dei telefonini e delle reti wi-fi, in particolare nelle scuole, chiedendo severe misure per ridurre i possibili pericoli per la salute. Sotto accusa, anche i dispositivi utilizzati per monitorare i neonati e tutti gli strumenti di uso comune che emettono continuamente onde elettromagnetiche. Secondo il Consiglio d’Europa è pertanto necessario che i governi prendano “tutte le misure necessarie” per limitare l’esposizione ai campi elettromagnetici, specialmente alle frequenze radio dei cellulari, in particolare per i bambini e i giovani che sembrano i soggetti più a rischio di tumori cerebrali.

 

Secondo l’Assemblea inoltre i governi dovrebbero “riconsiderare le basi scientifiche su cui poggiano gli attuali standards sull’esposizione ai campi elettromagnetici perché hanno serie limitazioni”. Ma anche “applicare il principio di precauzione nel caso in cui le valutazioni scientifiche non permettono di determinare i rischi per la salute umana con sufficiente certezza”.

 

3. Il caso: la sentenza della Corte di Appello di Brescia del 2009.

Sul finire del 2009, la Corte d’Appello di Brescia, in veste di giudice del lavoro, ha accordato ad un manager d’impresa il risarcimento da parte dell’Inail (Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro) per l’insorgenza di un neurinoma al Ganglio di Gasser, patologia tumorale che aveva determinato nel professionista l’invalidità dell’80%.

Con ricorso al Tribunale di Brescia, depositato il 6.07.2007, il signor Innocente Marcolini conveniva l’INAIL al fine di ottenere la corresponsione delle prestazioni di legge in riferimento ad una grave e complessa patologia cerebrale, a suo dire, di origine professionale. Egli sosteneva di aver svolto attività di dirigente d’azienda dal 1981 e che, in tale mansione, aveva utilizzato il telefono cellulare e il cordless per una media di 5-6 ore al giorno per un periodo di 12 anni; che, essendo destrimane, teneva l’apparecchio all’orecchio sinistro in quanto con la mano destra rispondeva al telefono fisso collocato sulla scrivania o prendeva note e appunti; che detta attività gli aveva provocato una grave patologia per la quale il 17.11.2003 aveva chiesto all’INAIL le corrispondenti prestazioni di legge; che l’istituto aveva rifiutato, negando il nesso causale fra l’attività lavorativa e le affezioni denunciate.

L’INAIL si opponeva al ricorso, sempre sotto il profilo della carenza del nesso causale e deduceva controprova orale, producendo varia documentazione. Esperita l’istruttoria testimoniale, che accertava l’uso intenso di cellulare e cordless ed assunta consulenza tecnica d’ufficio, il primo giudice respinse la domanda per carenza del nesso causale, aderendo alle considerazioni svolte dal Consulente Tecnico d’Ufficio (CTU). All’appello del dottor Marcolini, rispondeva l’INAIL ricordando l’inesistenza di studi scientifici attendibili in ordine alla nocività delle onde elettromagnetiche.

Dagli atti prodotti in giudizio risulta che nel giugno 2002 il manager iniziò ad essere interessato da un tumore benigno che colpisce i nervi cranici, in particolare il nervo acustico, e l’8 novembre 2002 il signor Marcolini subiva un intervento neurochirurgico per l’asportazione del Ganglio di Gasser, permanendo comunque un residuo tumorale, dimostrato dalla RMN post operatoria17. Nel 2004, dopo una diagnosi di neoformazione surrenalica, egli ha subito un intervento presso l’Istituto Europeo di Oncologia con diagnosi istologica di feocromocitoma, raro tumore con possibile secrezione di catecolamine.

La Corte d’Appello di Brescia, in veste di giudice del lavoro, ha emesso, nel 2009, sentenza di accoglimento del ricorso del dott. Marcolini, riconoscendo la natura professionale della sua patologia, con invalidità all’80%18. Si tratta di una pronuncia giudiziaria che ha suscitato molto scalpore, destinata a fare scuola ed aprire una breccia tra i c.d. negazionisti, da sempre impegnati nel non dare spazio ad una ipotesi di nesso tra danno e uso dei cellulari; una sentenza che rilancia le battaglie di cittadini e comitati contro il proliferare selvaggio di sorgenti di emissione elettromagnetica.

L’uso prolungato del telefono cellulare è, quindi, a parere della Corte, “concausa” dei tumori al nervo Trigemino: per questo tale giudice ha condannato l’INAIL a risarcire il suddetto professionista.

Per la prima volta, dunque, un giudice sancisce un nesso di causalità tra quella malattia e l’esposizione alle onde elettromagnetiche dei cellulari.

E’ evidente che, dal punto di vista scientifico, la decisione Tribunale di Brescia ha aperto scenari notevoli rispetto al problema dei danni causati dalle radiazioni emesse dai telefoni cellulari e, più in generale, dei danni che derivano dall’esposizione a prodotti che, seppure non difettosi, risultano pericolosi per la salute.

Nel caso di specie, la condanna dell’Inail si basa sull’individuazione di un nesso di concausa19 tra l’esposizione alle radiazioni emesse dai telefoni utilizzati per svolgere l’attività lavorativa e l’insorgere della patologia. In particolare, la C.T.U. ha rilevato che il telefono cordless e il telefono cellulare, utilizzati per 5-6 ore al giorno in un arco di tempo di 12 anni, irradiavano quasi sempre il lato sinistro del viso, che proprio su questo punto del corpo si era sviluppata la malattia degenerativa e, infine, che studi epidemiologici hanno dimostrato l’esistenza di un nesso causale tra l’esposizione alle onde elettromagnetiche emesse e l’insorgere della patologia lamentata dal danneggiato20.

Il dato secondo cui gli studi epidemiologici più accreditati individuano nell’esposizione protratta per oltre dieci anni un rischio sicuramente significativo ha indotto la Corte a ravvisare, anche sul piano individuale21, la causalità debole, rilevante ai fini dell’attribuzione delle prestazioni previdenziali.

Il problema dei danni da uso del telefono cellulare pone, peraltro, interrogativi di estremo interesse anche nella prospettiva della responsabilità del produttore.

Infatti, pur ipotizzando che la scienza giunga a dimostrare con certezza il nesso di causalità tra esposizione a radiofrequenze e insorgere di patologie, si porrebbero diverse questioni in ordine, in primo luogo, al giudizio di responsabilità ex artt. 114 ss. del Codice Consumatori nei confronti del produttore di un bene conforme alle regole di costruzione, quindi “sicuro”; poi all’eventuale compromissione del nesso di causalità in questione ad opera della previsione secondo cui “lo stato delle conoscenze scientifiche e tecniche, al momento della produzione del bene, non permetteva di considerare quest’ultimo difettoso” (art. 118 lett. e) Cod. Cons.), e, infine, in ordine alla responsabilità dello stesso produttore con riferimento agli obblighi informativi volti a favorire un uso del cellulare privo di rischi22.

In ogni caso, il problema principale sembra ancora quello di un’adeguata giustificazione in termini causali del riconoscimento giudiziale del diritto al risarcimento del danno. Nel caso di specie, come detto, la Corte ha individuato un nesso, quanto meno concausale, tra il prolungato uso giornaliero del telefono cellulare cui era sottoposto il manager bresciano, 5-6 ore die, e la patologia, in cui questo è incorso, cioè un “neurinoma al Ganglio di Gasser”.

Tale nesso veniva sostanzialmente costruito nella CTU presentata dal ricorrente professionista, che riassumeva alcuni studi eseguiti dal 2005 al 2009 nei quali si evidenziava un aumento significativo del rischio relativo di neurinoma, in caso di eccessiva esposizione ad onde elettromagnetiche ad alta frequenza, cioè quelle che caratterizzano la telefonia mobile, come già illustrato.

Il giudice riteneva, inoltre, irrilevante lo studio del 2000 dell’OMS che escludeva effetti negativi sulla salute, sull’assunto che questo, essendo abbastanza datato, si basava su dati ancora più risalenti e non teneva conto del più recente utilizzo ben più massiccio e diffuso da parte degli utenti dei dispositivi di telefonia mobile e del fatto che si trattasse di tumori a lenta insorgenza.

Per questo motivo si ritenevano più attendibili, e non proprio a torto, gli studi del 2009, basati su dati più recenti.

La Corte, quindi, concludeva riconoscendo come integrata la necessaria ragionevole certezza, richiesta dal costante insegnamento della Suprema Corte, ravvisata in presenza di un rilevante grado di probabilità, e considerando che la natura professionale della malattia può essere desunta con elevato grado di probabilità dalla tipologia delle lavorazioni svolte, dalla natura dei macchinari presenti negli ambienti di lavoro, dalla durata della prestazione lavorativa e dall’assenza di altri fattori extralavorativi, alternativi o concorrenti che possano costituire causa della malattia.

A parere di uno dei periti che ha supportato la tesi del nesso causale – nonchè autore di numerose ricerche epidemiologiche sulla pericolosità dell’uso di cordless, cellulari ed apparati wireless – la sentenza riassume in modo preciso l’entità e la durata dell’uso per motivi professionali dei telefoni mobili da parte dell’interessato, ripercorre minuziosamente il decorso, l’esito e le conseguenze della malattia (neurinoma del trigemino) e giustifica la decisione sulla base di un esame critico della letteratura sulla relazione tra uso dei telefoni mobili e tumori alla testa, dimostrando che i Giudici si sono perfettamente impadroniti della materia.

Il dato forse più rilevante è la risposta, sempre a parere dell’esperto, che i Giudici danno alle principali contestazioni fatte dai legali dell’Inail:

1) il fatto che i neurinomi indotti dall’uso dei telefoni mobili finora documentati siano solo neurinomi del nervo acustico e che manchino dati riferiti al trigemino non inficia la rilevanza del caso vista la co-localizzazione dei gangli da cui si diramano i due nervi cranici, situati entrambi in una regione definita e ristretta dello spazio endocranico, certamente interessato dalla emissione elettromagnetica dei telefoni mobili;

2) infine, gli studi “negativi” svolti da apposito gruppo di esperti richiamati nella loro perizia, sono notoriamente cofinanziati dalle ditte produttrici di telefoni cellulari.

La conclusione dei Giudici secondo i quali “appare evidentemente integrato il requisito di elevata probabilità che integra il nesso causale richiesto dalla normativa” sembra proprio, alla luce delle motivazioni che la sostengono, una conclusione difficilmente ribaltabile.

In questo contesto interviene la notizia IARC – del 31 maggio 2011 – in ordine alla rilevante modifica della classificazione dei campi elettromagnetici a radiofrequenza, innalzati dal gruppo 3, in cui sono catalogati agenti non classificabili come cancerogeni, al gruppo 2B, tra fattori che, ove se ne abusi, sono “possibilmente cancerogeni” per l’uomo, sulla base di un aumentato rischio di glioma, cioè un tipo di cancro maligno del cervello, associato con l’uso del telefono senza fili23.

É la prima volta da quando, alla fine degli anni novanta, sono iniziati gli studi scientifici mirati a valutare la cancerogenicità dei Cem, che lo IARC assume una posizione esplicita.

Nel merito, l’attribuzione di un agente alla classe 2B significa, secondo i criteri IARC che “le evidenze sono sufficientemente forti per sostenere la conclusione che possono sussistere dei rischi e che si deve osservare attentamente l’associazione tra esposizione a campi a radiofrequenza ed insorgenza di patologie neoplastiche, con particolare riferimento agli effetti derivanti dall’utilizzo del telefono cellulare24.

Il Gruppo, in realtà, non ha quantificato il rischio: tuttavia, uno studio sull’utilizzo passato del telefono cellulare, ha mostrato un 40% di aumento del rischio di gliomi nella categoria più elevata di consumatori pesanti.

Inoltre, “date le potenziali conseguenze per la salute pubblica di questa classificazione e dei risultati,” ha detto il Direttore IARC Christopher Wild, “è importante che sia condotta una ricerca supplementare sull’uso massiccio del cellulare sul lungo periodo. In attesa della disponibilità di tali informazioni, è importante adottare misure pragmatiche per ridurre l’esposizione, come i dispositivi viva voce o sms”25.

Come era prevedibile, la classificazione da parte della IARC dei campi elettromagnetici a radiofrequenza ha suscitato molti dibattiti ed anche molti interrogativi su quali ne siano le motivazioni scientifiche, quale il significato, i limiti e le possibili conseguenze. Certamente, la strada da percorrere per fare chiarezza è molto lunga.

 

 

 

1 G.FRANCESCHETTI, D.RICCIO, M.R.SCARFI’, B.SCIANNIMANICA, Esposizione ai campi elettromagnetici, Torino, 2000; AA.VV., Protezione dei campi elettromagnetici non ionizzanti, Cnr-Iroe, Firenze, 2001.

 

 

2 F.FONDERICO, La tutela dell’’inquinamento elettromagnetico, in Giornale di dir.amm., Milano, 2002.

 

 

3 Nella parte visibile dello spettro, tali sono la radiazione ultravioletta, la luce visibile, l’infrarosso; nella parte invisibile, le radiofrequenze e le microonde, i campi a frequenza estremamente bassa e i campi elettrici e magnetici statici.

 

 

4 Artt. 3, 5 e 25 Dich. Univ. Dir. Uomo stabiliscono rispettivamente che “ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona”; che “nessun individuo potrà essere sottoposto a tortura o a trattamento o a punizioni crudeli, immani o degradanti”; e che “ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all’alimentazione, al vestiario, all’abitazione e alle cure mediche e ai servizi sociali necessari”

 

 

5 Artt. 6 e 7 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici dispongono rispettivamente che “il diritto alla vita è inerente alla persona umana.Questo diritto deve esser protetto dalla legge. Nessuno può essere arbitrariamente privato della vita”; e che “nessuno può essere sottoposto alla tortura né a punizioni o trattamenti crudeli, disumani o degradanti. In particolare, nessuno può essere sottoposto, senza il suo libero consenso, ad un esperimento medico o scientifico”

 

 

6 Art. 24 della Conv. sui diritti del fanciullo stabilisce che “gli Stati parti riconoscono il diritto del minore di godere del miglior stato di salute possibile e di beneficiare di servizi medici e di riabilitazione. Essi si sforzano di garantire che nessun minore sia privato del diritto di avere accesso a tali servizi. Gli Stati parti si sforzano di garantire l’attuazione integrale del summenzionato diritto (…)”

 

 

7 Il par. 1.3 della Dich. sulla promozione dei diritti dei pazienti in Europa dispone che “ognuno ha diritto all’integrità fisica e mentale ed alla sicurezza della propria persona”

 

 

8 M.R. SAULLE, “Individuo (nell’ordinamento internazionale)”, in Enc. giur., XVI, Roma, 1989.

 

 

9 Si vedano a riguardo le sentt. Corte di giust. CE, 18/06/1991, causa C-260/89; Corte di giust. CE, 4/10/1991, causa C-159/90, Society for the Protection of Unborn Children Ireland; Corte di giust. CE, 29/05/1997, causa C-299/95, Kremzow.

 

 

10 L’art. 3 lett. p) del Trattato di Roma dispone che “l’azione della Comunità comporta, alle condizioni e secondo il ritmo previsti dal presente Trattato (…) un contributo al conseguimento di un elevato livello di protezione della salute”.

 

 

11 L’art.152 recita: “1. Nella definizione e nell’attuazione di tutte le politiche ed attività della Comunità è garantito un livello elevato di protezione della salute umana. L’azione della Comunità, che completa le politiche nazionali, si indirizza al miglioramento della sanità pubblica, alla prevenzione delle malattie e affezioni e all’eliminazione delle fonti di pericolo per la salute umana. Tale azione comprende la lotta contro i grandi flagelli, favorendo la ricerca sulle loro cause, la loro propagazione e la loro prevenzione, nonché l’informazione e l’educazione in materia sanitaria. La Comunità completa l’azione degli Stati membri volta a ridurre gli effetti nocivi per la salute umana derivanti dall’uso di stupefacenti, comprese l’informazione e la prevenzione.

2. La Comunità incoraggia la cooperazione tra gli Stati membri nei settori di cui al presente articolo e, ove necessario, appoggia la loro azione. Gli Stati membri coordinano tra loro, in collegamento con la Commissione, le rispettive politiche ed i rispettivi programmi nei settori di cui al paragrafo 1. La Commissione può prendere, in stretto contatto con gli Stati membri, ogni iniziativa utile a promuovere detto coordinamento.

3. La Comunità e gli Stati membri favoriscono la cooperazione con i paesi terzi e con le organizzazioni internazionali competenti in materia di sanità pubblica.

4. Il Consiglio, deliberando secondo la procedura di cui all’articolo 189B e previa consultazione del Comitato economico e sociale del Comitato delle Regioni, contribuisce alla realizzazione degli obiettivi previsti dal presente articolo, adottando:

a) misure che fissino parametri elevati di qualità e sicurezza degli organi e sostanze di origine umana, del sangue e degli emoderivati; tali misure non ostano a che gli Stati membri mantengano o introducano misure protettive più rigorose;

b) in deroga all’art. 43, misure nei settori veterinario e fitosanitario il cui obiettivo primario sia la protezione della sanità pubblica;

c) misure di incentivazione destinate a proteggere e a migliorare la salute umana, ad esclusione di qualsiasi armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri.

Il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata su proposta della Commissione, può altresì adottare raccomandazioni per i fini stabiliti dal presente articolo.

5. L’azione comunitaria nel settore della sanità pubblica rispetta appieno le competenze degli Stati membri in materia di organizzazione e fornitura di servizi sanitari e assistenza medica. In particolare le misure di cui al paragrafo 4, lettera a) non pregiudicano le disposizioni nazionali sulla donazione e l’impiego medico di organi e sangue”.

 

 

12 M. ROSSETTI, “Il danno alla salute. Biologico, patrimoniale, morale, profili processuali, tabelle per la liquidazione”, cit., pag. 133.

 

 

13 Così dispone l’art. 34 del Protocollo 11.5.1994, n.11, firmato a Strasburgo, ratificato e reso esecutivo con la L. 28.8.1997, n.296.

 

 

14 Così l’art. 41 del Protocollo n.11, cit.

 

 

15 Così dispone l’art. 1 del Protocollo addizionale 9.11.1995, Strasburgo.

 

 

16 M. ROSSETTI, “Il danno alla salute. Biologico, patrimoniale, morale, profili processuali, tabelle per la liquidazione”, cit., pag. 139-140.

 

 

17 Venivano registrati, come esiti post intervento, un’ulcera corneale sinistra, sindrome algo-distrofica dell’emiviso sinistro con severo dolore cronico, persistenti parestesie sempre all’emiviso, disturbi della meccanica masticatoria, visione doppia di uno stesso oggetto, epilessia parziale complessa, disturbo della memoria e dell’attenzione, disturbo dell’adattamento, sindrome del lobo temporale con vari disturbi olfattivi, gustativi, dell’equilibrio, visivi, uditivi e psichiatrici.

 

 

18 App. Brescia, 22.12.2009, n. 614.

 

 

19 M. Capecchi, Il nesso di causalità, Milano, 2002, pagg. 249 e ss.

 

 

20 E. Al Mureden, I danni da uso del cellulare tra tutela previdenziale e limiti della responsabilità del produttore, cit., pagg. 1393.

 

 

21 C. M. Nanna, Principio di precauzione e lesioni da radiazioni non ionizzanti, Napoli, 2003, pagg. 120 e ss.

 

 

22 E. Al Mureden, I danni da uso del cellulare tra tutela previdenziale e limiti della responsabilità del produttore, in Riv. Resp. civ. e previdenza, Milano, 2010, pagg. 1394.

 

 

23 IARC, “Iarc classifies radiofrequency electromagnetic fields as possibly carcinogenic to humans”, Press Release n°208, 2011, consultabile sulla pagina web www.iarc.fr.

 

 

24 Articolo “Dall’analisi alla classificazione, come lavora lo IARC”, consultabile in Newsletter Elettra2000 – Edizione Speciale, pagina web www.Elettra2000.it

 

 

25 Articolo “Cellulari e salute. Dopo il Consiglio d’Europa, anche l’OMS lancia l’allarme: ‘Esposizione aumenta rischio cancro’”, 2011, consultabile in News, pagina web www.key4biz.it


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