Non consentire l’installazione degli impianti per la telefonia mobile ad una distanza minore di 50 metri dalle abitazioni e dagli edifici pubblici e di pubblico interesse si risolve in un divieto generalizzato riferito all’intero centro urbano, ed è pertanto illegittimo.

Lo ribadisce ancora una volta il Consiglio di Stato: il potere pianificatorio dei comuni di fissare criteri localizzativi per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici deve esplicarsi in regole ragionevoli, motivate e certe, poste a presidio di interessi di rilievo pubblico, senza comportare un generalizzato divieto di installazione in zone urbanistiche identificate.

Il Comune in questione aveva imposto lo spostamento dell’impianto sulla base del regolamento urbanistico che prevede la delocalizzazione entro 180 giorni degli impianti che non siano distanti almeno 50 metri dalle abitazioni e dagli edifici pubblici o di pubblico interesse: tale norma “è illegittima perché incide su posizioni di legittimo affidamento, travolge titoli abilitativi già conseguiti e stabilisce un criterio distanziale generico, eterogeneo e di eccessiva portata, tale da finir per precludere la realizzazione di una rete infrastrutturale capillare ed efficiente”.

In particolare, il divieto generalizzato riferito all’intero centro urbano sarebbe oltretutto retroattivo laddove viene imposto l’adeguamento entro il termine di 180 giorni: questo inciderebbe su titoli abilitativi all’installazione già formati (oltreché sui titoli in corso di formazione) per silenzio-assenso.

Esattamente un anno fa, la Corte Suprema di Cassazione aveva precisato che invece, in presenza di un Piano di localizzazione tecnicamente valido, che non presenta divieti generalizzati ma individua puntuali localizzazioni sulla base dello studio del territorio e delle appropriate analisi tecniche, un impianto non previsto nel Piano deve essere spostato, anche se esso ha maturato il titolo abilitativo per silenzio assenso (Corte Suprema di Cassazione Sez. III n. 722, 21 marzo 2013).

Consiglio di Stato n. 905 del 25 febbraio 2014


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